Lo so… con questo tema, come si suol dire, sto mettendo “il culo in mezzo ai calci”!
Fa parte del mio lavoro. Occorre a volte affrontare temi delicati e come sempre ci tengo a precisare che i miei articoli vogliono affrontare i temi della ristorazione da un punto di vista tecnico. Non sono un politico, non ho soluzioni politiche, non saprei come affrontare i problemi di un ristorante se non offrendo soluzioni pratiche e derivanti dall’analisi delle singole criticità.
Che piaccia o no, questo è il mio lavoro. Non devo “portare” le persone in piazza per protestare né scrivere proclami di carattere politico ma semplicemente cercare di offrire spunti di riflessione per permettere agli operatori del settore Ho.Re.Ca. di ottenere risultati migliori nella gestione delle loro attività.
Perdonate la premessa ma, l’ultimo post, ha sollevato molte polemiche. Tante delle quali inutili e fini a sé stesse. Un imprenditore non polemizza, cerca soluzioni e agisce. A volte le cose possono andare bene, altre volte possono andare male… come dice uno dei miei Maestri del MKTG, se fosse facile, non si chiamerebbe IMPRESA.
Veniamo al tema centrale, ovvero la carenza di personale.
È un tema di grande complessità che tocca diverse materie, tra cui, economia, sociologia, attualità ecc.
Gli “angoli” di analisi sono pressoché infiniti quindi occorre essere pratici e cercare di affrontare la “crisi del personale” nel modo più analitico e pratico possibile, stringendo il focus e adottando soluzioni “applicabili”.
Metto subito in chiaro il tema “reddito di cittadinanza”. Non entro nel merito politico, non mi esprimo su quanto sia “giusto o sbagliato” ma dico solamente che, una persona che accetta di stare a casa con un reddito di “sopravvivenza” non è probabilmente una persona motivata a lavorare nel settore e quindi in “target” con quello che una azienda dovrebbe cercare.
Le risorse umane in un settore complesso come la ristorazione devono possedere caratteristiche e competenze che, dal mio punto di vista, sono in antitesi con chi sceglie di vivere con un sussidio avendo le possibilità di cercarsi un lavoro, soprattutto in un periodo di forte domanda come quello attuale. E ripeto, è una analisi puramente tecnica e non politica.
Quindi, non ritengo che la crisi del settore sia da imputarsi al “reddito”.
O meglio, le imprese che la pensano in questo modo probabilmente sono le stesse che si sono sempre accontentate di assumere “il primo che capita” e che si proponeva più per “bisogno di lavorare” che per “desiderio di lavorare nel
settore” senza che lo stesso avesse motivazioni e competenze. Sono le stesse aziende che, successivamente a questo tipo di “scelte” si ritrovano con seri problemi di gestione del personale e “abbandoni” prematuri.
𝑫𝒐𝒃𝒃𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒔𝒄𝒆𝒈𝒍𝒊𝒆𝒓𝒆 𝒊 𝒄𝒐𝒍𝒍𝒂𝒃𝒐𝒓𝒂𝒕𝒐𝒓𝒊 “𝒎𝒊𝒈𝒍𝒊𝒐𝒓𝒊” 𝒏𝒐𝒏 𝒒𝒖𝒆𝒍𝒍𝒊 𝒄𝒉𝒆 𝒔𝒊 𝒂𝒄𝒄𝒐𝒏𝒕𝒆𝒏𝒕𝒂𝒏𝒐 𝒅𝒊 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒂𝒓𝒆 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒏𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒊𝒎𝒑𝒓𝒆𝒔𝒂 𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉𝒆́, 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒕𝒆𝒔𝒕𝒂, 𝒏𝒐𝒏 𝒉𝒂𝒏𝒏𝒐 𝒕𝒓𝒐𝒗𝒂𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒎𝒆𝒈𝒍𝒊𝒐!
Non dobbiamo essere una semplice opzione ma una scelta consapevole!
Ovvio che tutti abbiamo “bisogno” di lavorare ma, soprattutto per certi lavori, le scelte devono ricadere su persone preparate e fortemente motivate.
Partiamo dai primi 2 spunti di riflessione:
𝙡𝙖 𝙘𝙧𝙞𝙨𝙞 𝙙𝙚𝙡 𝙥𝙚𝙧𝙨𝙤𝙣𝙖𝙡𝙚 𝙚 𝙙𝙚𝙡 “𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙤” 𝙩𝙤𝙘𝙘𝙖 𝙨𝙤𝙡𝙩𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙞𝙡 𝙨𝙚𝙩𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙃𝙤.𝙍𝙚.𝘾𝙖. 𝙤𝙥𝙥𝙪𝙧𝙚 𝙨𝙞 𝙚𝙨𝙩𝙚𝙣𝙙𝙚 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙖𝙙 𝙖𝙡𝙩𝙧𝙚 𝙧𝙚𝙖𝙡𝙩𝙖̀?
𝙉𝙚𝙡 𝙨𝙚𝙩𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙃𝙤.𝙍𝙚.𝘾𝙖 𝙚̀ 𝙙𝙞𝙛𝙛𝙪𝙨𝙤 𝙞𝙣 𝙢𝙤𝙙𝙤 “𝙩𝙧𝙖𝙨𝙫𝙚𝙧𝙨𝙖𝙡𝙚” 𝙤𝙥𝙥𝙪𝙧𝙚 𝙘𝙤𝙡𝙥𝙞𝙨𝙘𝙚 𝙨𝙤𝙡𝙩𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙖𝙡𝙘𝙪𝙣𝙚 𝙩𝙞𝙥𝙤𝙡𝙤𝙜𝙞𝙚 𝙙𝙞 𝙖𝙩𝙩𝙞𝙫𝙞𝙩𝙖̀?
La risposta a queste domande può consentirci di capire il problema e di inquadrarlo meglio nell’attuale periodo socio-economico.
Innanzitutto, la crisi del “lavoro” è globale, basti pensare al tema della “great resignation” negli USA che sta colpendo tutti i settori, dai manager con stipendi stellari ai lavoratori delle categorie più umili.
In tutto il mondo mancano figure professionali di qualunque genere, dagli informatici agli artigiani, dai manager agli addetti alle pulizie. Il problema è globale e diffuso.
𝑰𝒍 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒆̀ 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒍𝒂 𝒓𝒊𝒄𝒆𝒓𝒄𝒂 𝒅𝒊 𝒖𝒏𝒐 “𝒔𝒕𝒂𝒕𝒖𝒔 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒂𝒍𝒆” 𝒖𝒕𝒊𝒍𝒆 𝒂𝒍 𝒔𝒆𝒏𝒕𝒊𝒓𝒔𝒊 “𝒓𝒆𝒂𝒍𝒊𝒛𝒛𝒂𝒕𝒊” perché spesso, i “costi” in termini di “vita”, non sono ripagati né economicamente né in termini di gratificazione personale, quindi, la fuga dal “lavoro” esiste ovunque, sia in termini geografici che in termini di settore lavorativo.
Se poi prendiamo il “mercato” Italia in cui il lavoro è mediamente pagato meno che nel resto del mondo, questo problema è ancora più sentito.
Il nostro settore, forse, ne risente ancora di più perché negli anni c’è stata poca valorizzazione delle figure professionali che ricoprono ruoli lavorativi all’interno di un ristorante.
Basti pensare come sia ormai un pensiero diffuso che il lavoro di “cameriere” possa essere svolto da chiunque, invece, non è assolutamente così. È un lavoro che richiede competenze molto complesse e articolate. Basta osservare i CV che arrivano alle aziende per le posizioni di “cameriere”, la maggior parte privi delle benché minima esperienze, per capire come sia considerato un lavoro che può fare chiunque. Nulla di più sbagliato. È un lavoro stupendo ma molto complesso. Facciamocene una ragione!
𝙈𝙖 𝙫𝙚𝙣𝙞𝙖𝙢𝙤 𝙖𝙡𝙡𝙖 𝙨𝙚𝙘𝙤𝙣𝙙𝙖 𝙙𝙤𝙢𝙖𝙣𝙙𝙖, 𝙡𝙖 𝙘𝙧𝙞𝙨𝙞 𝙙𝙚𝙡 𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙤 𝙣𝙚𝙡 𝙨𝙚𝙩𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙃𝙤.𝙍𝙚.𝘾𝙖 𝙘𝙤𝙡𝙥𝙞𝙨𝙘𝙚 𝙙𝙖𝙫𝙫𝙚𝙧𝙤 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙞?
In realtà no, soprattutto le aziende più strutturate e quindi in grado di garantire migliori condizioni di “vita lavorativa”, turnazioni del personale sostenibili e prospettive di crescita professionale, sono ovviamente le realtà che stanno soffrendo meno delle difficoltà legate al tema dell’occupazione.
Gli anni in cui il lavoro all’interno di un ristorante “non aveva orari”, sono finiti.
I tempi dei turni da 18 ore, 7 giorni su 7, per sentirsi dei “martiri-eroi” del settore, ormai sono anacronistici. Ed è giusto così!
Potrei continuare ad approfondire, perché ci sarebbe molto da dire, e mi scuso per l’estrema semplificazione di un problema così complesso, ma non voglio dilungarmi troppo per arrivare alle possibili soluzioni.
Mettiamoci definitivamente in testa che il tema del Work-Life balance ormai è basilare e deve assolutamente essere considerato da parte di chi si occupa di risorse umane.
Affrontiamo ora un altro tema… cosa porta un potenziale dipendente a scegliere un ristorante piuttosto che un altro? Fermo restando quello che abbiamo appena detto, quindi, orari di lavoro adeguati e ovviamente stipendio adeguato a suddetti orari, rimane ancora un fattore.
Come i clienti scelgono i ristoranti più “attrattivi” anche un dipendente sceglierà, se crede in questo lavoro, un ristorante in cui sa che si lavora in un certo modo e in cui è consapevole di potersi arricchire professionalmente.
Ovvio, c’è chi non è minimamente interessato alla crescita personale e professionale e cerca solo uno stipendio a fine mese, ma, vi assicuro, che ci sono ancora tanti ragazzi animati da passione che oltre ad orari e stipendio congrui prediligono un ambiente lavorativo sano, dinamico, coinvolgente e stimolante.
𝑽𝒊 𝒔𝒊𝒆𝒕𝒆 𝒎𝒂𝒊 𝒄𝒉𝒊𝒆𝒔𝒕𝒊 𝒔𝒆 𝒍𝒂 𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒂𝒛𝒊𝒆𝒏𝒅𝒂 𝒆̀ “𝒂𝒕𝒕𝒓𝒂𝒆𝒏𝒕𝒆” 𝒑𝒆𝒓 𝒊𝒍 𝒑𝒆𝒓𝒔𝒐𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒄𝒐𝒔𝒊̀ 𝒄𝒐𝒎𝒆 𝒅𝒐𝒗𝒓𝒆𝒃𝒃𝒆 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒍𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒊 𝒄𝒍𝒊𝒆𝒏𝒕𝒊?
𝑰 𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒊 𝒅𝒊𝒑𝒆𝒏𝒅𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒅𝒐𝒗𝒓𝒆𝒃𝒃𝒆𝒓𝒐 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒆 𝒐𝒓𝒈𝒐𝒈𝒍𝒊𝒐𝒔𝒊 𝒅𝒊 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒓𝒊𝒃𝒖𝒊𝒓𝒆 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒎𝒊𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏 𝒂𝒛𝒊𝒆𝒏𝒅𝒂𝒍𝒆 𝒔𝒆𝒏𝒕𝒆𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒊 𝒇𝒂𝒓 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒆 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒂𝒎𝒃𝒊𝒛𝒊𝒐𝒔𝒐 𝒆 𝒓𝒊𝒄𝒄𝒐 𝒅𝒊 𝒔𝒕𝒊𝒎𝒐𝒍𝒊?
𝑽𝒐𝒊, 𝒂𝒗𝒆𝒕𝒆 𝒔𝒕𝒊𝒎𝒐𝒍𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒊𝒍 𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒐 𝒑𝒓𝒐𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒆 𝒔𝒂𝒑𝒆𝒕𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒔𝒎𝒆𝒕𝒕𝒆𝒓𝒍𝒊 𝒄𝒐𝒏 𝒆𝒏𝒕𝒖𝒔𝒊𝒂𝒔𝒎𝒐 𝒂𝒊 𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒊 𝒄𝒐𝒍𝒍𝒂𝒃𝒐𝒓𝒂𝒕𝒐𝒓𝒊?
Lascio a Voi le risposte. Procediamo ora con gli aspetti più pratici.
È indubbio che la crisi del lavoro, unita ad un cuneo fiscale tra i più alti del mondo non consenta alle imprese di avere abbastanza personale, benanche avessero la fortuna di trovalo.
Avere poco personale vuol dire inevitabilmente gravare sulle risorse disponibili e, come abbiamo visto, si innesca un circolo vizioso che oggi, non è più sostenibile.
Siamo forse in un vicolo cieco?
Direi di no, ma c’è molto lavoro da fare per non finirci rischiando di rimanere intrappolati con conseguenze devastanti per la nostra attività.
Semplificherò molto perché il tema è articolato e complesso. La soluzione sta nel fare di tutto per avere un perfetto controllo di gestione.
𝑫𝒐𝒃𝒃𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒑𝒓𝒆𝒏𝒅𝒆𝒓𝒆 𝒊𝒏 𝒎𝒂𝒏𝒐 𝒊 𝒏𝒐𝒔𝒕𝒓𝒊 𝒎𝒆𝒏𝒖 𝒆 𝒒𝒖𝒂𝒏𝒕𝒊𝒇𝒊𝒄𝒂𝒓𝒆, 𝒏𝒆𝒍 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒅𝒆𝒕𝒕𝒂𝒈𝒍𝒊𝒂𝒕𝒐 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒊𝒃𝒊𝒍𝒆, 𝒍𝒆 𝒐𝒓𝒆 𝒅𝒊 𝒍𝒂𝒗𝒐𝒓𝒐 𝒏𝒆𝒄𝒆𝒔𝒔𝒂𝒓𝒊𝒆 𝒑𝒆𝒓 𝒔𝒗𝒐𝒍𝒈𝒆𝒓𝒆 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒆 𝒍𝒆 𝒎𝒂𝒏𝒔𝒊𝒐𝒏𝒊 𝒖𝒕𝒊𝒍𝒊 𝒂𝒍 𝒇𝒊𝒏𝒆 𝒅𝒊 𝒓𝒆𝒂𝒍𝒊𝒛𝒛𝒂𝒓𝒆 𝒍𝒂 𝒍𝒊𝒏𝒆𝒂 𝒅𝒆𝒊 𝒏𝒐𝒔𝒕𝒓𝒊 𝒑𝒊𝒂𝒕𝒕𝒊, 𝒄𝒐𝒑𝒓𝒊𝒓𝒆 𝒐𝒗𝒗𝒊𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒊𝒍 𝒔𝒆𝒓𝒗𝒊𝒛𝒊𝒐, 𝒔𝒗𝒐𝒍𝒈𝒆𝒓𝒆 𝒍𝒆 𝒐𝒑𝒆𝒓𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒊 𝒅𝒊 𝒑𝒖𝒍𝒊𝒛𝒊𝒂 𝒆𝒄𝒄.
È un lavoro di analisi lungo e abbastanza complesso. Occorre essere molto analitici in quanto dobbiamo andare a “scomporre” ogni singolo piatto cercando di capire quanto lo stesso impatti sulle ore di lavoro.
Dopo aver fatto questo, dovremo valutare le singole procedure e capire dove, e come, è possibile risparmiare “tempo”, mantenendo o migliorando la qualità dei nostri prodotti.
La soluzione pratica, spesso, consisterà nel fare produzioni più “massive” anziché frazionarle e per fare ciò dovremo avvalerci delle tecnologie utili a tale scopo, soprattutto una corretta gestione del “freddo” (uso dell’abbattitore di temperatura) e la conservazione sottovuoto.
Grazie a queste procedure, lavori che normalmente vengono svolti quotidianamente, potrebbero essere svolti ogni settimana o, in alcuni casi, anche ogni 15gg. con un risparmio notevole di ore lavoro, che andrebbero a beneficio delle ore pro-capite per singolo lavoratore.
In questo modo è possibile ridurre, in alcuni casi, anche il fabbisogno di dipendenti in termini numerici, senza gravare ulteriormente sul personale presente.
Se, analizzando attentamente i vostri menu e le singole preparazioni di ogni piatto, dopo aver ottimizzato i processi, doveste rendervi conto di avere un fabbisogno di “ore lavoro” eccessivo, sarà inevitabile intervenire sul menu, riducendo i piatti, semplificando dove possibile le preparazioni, esternalizzando alcuni elementi dei piatti ecc.
𝑺𝒆 𝒍𝒂 “𝒄𝒐𝒑𝒆𝒓𝒕𝒂” 𝒆̀ 𝒄𝒐𝒓𝒕𝒂, 𝒊𝒏 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒉𝒆 𝒎𝒐𝒅𝒐 𝒃𝒊𝒔𝒐𝒈𝒏𝒂 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒗𝒆𝒏𝒊𝒓𝒆.
Posso assicurarvi, perché l’ho provato sulla mia pelle e su quella di altre imprese con cui ho collaborato, che è possibile quasi sempre intervenire sulle attuali procedure ottenendo risultati stupefacenti in termini di qualità del lavoro nelle vostre cucine. Il tutto rispettando e spesso migliorando la qualità della produzione.
Uno Chef che impara a gestire in modo analitico le risorse a propria disposizione, creando menu sostenibili in termini di “ore lavoro” e, avvalendosi delle migliori tecnologie al fine di essere più produttivo ed avere un prodotto migliore, sarà uno chef più realizzato, meno stressato e di maggior valore per la propria azienda.
Come avevo accennato, il tema sarebbe lunghissimo, il dibattito potrebbe essere infinito ma ho voluto concentrarmi solo sui punti più importanti che possono sintetizzarsi nella capacità di analisi del proprio menu e nella gestione delle procedure.
𝑵𝒆𝒊 𝒑𝒐𝒅𝒄𝒂𝒔𝒕 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒐 𝑪𝑯𝑬𝑭’s 𝑩𝑨𝑹 𝒉𝒐 𝒈𝒊𝒂̀ 𝒂𝒇𝒇𝒓𝒐𝒏𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒓𝒔𝒊 𝒂𝒓𝒈𝒐𝒎𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒉𝒆 𝒔𝒐𝒏𝒐 𝒅𝒊𝒓𝒆𝒕𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒆/𝒐 𝒊𝒏𝒅𝒊𝒓𝒆𝒕𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒄𝒐𝒍𝒍𝒆𝒈𝒂𝒕𝒊 𝒂 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒆 𝒕𝒆𝒎𝒂𝒕𝒊𝒄𝒉𝒆, 𝒗𝒊 𝒊𝒏𝒗𝒊𝒕𝒐 𝒂𝒅 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒍𝒕𝒂𝒓𝒍𝒊 𝒆, 𝒔𝒆 𝒗𝒐𝒍𝒆𝒕𝒆, 𝒂 𝒔𝒄𝒓𝒊𝒗𝒆𝒓𝒎𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒖𝒍𝒕𝒆𝒓𝒊𝒐𝒓𝒊 𝒅𝒐𝒎𝒂𝒏𝒅𝒆 𝒊𝒏 𝒎𝒆𝒓𝒊𝒕𝒐.
La ristorazione può cambiare, anzi deve assolutamente farlo.
Le realtà più piccole devono imparare dalle imprese più grandi a lavorare in modo strutturato, rispettando ovviamente il proprio modello di business. Perché anche nel piccolo si può.
𝑰𝒍 𝒗𝒂𝒍𝒐𝒓𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍’𝒆𝒏𝒐𝒈𝒂𝒔𝒕𝒓𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒂 𝒊𝒏 𝑰𝒕𝒂𝒍𝒊𝒂 𝒓𝒊𝒔𝒊𝒆𝒅𝒆 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒓𝒊𝒐 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒑𝒊𝒄𝒄𝒐𝒍𝒆 𝒓𝒆𝒂𝒍𝒕𝒂̀ 𝒄𝒉𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒐𝒏𝒐 𝒑𝒆𝒓𝒎𝒆𝒕𝒕𝒆𝒓𝒔𝒊 𝒅𝒊 𝒔𝒄𝒐𝒎𝒑𝒂𝒓𝒊𝒓𝒆 𝒂 𝒄𝒂𝒖𝒔𝒂 𝒅𝒆𝒊 𝒇𝒂𝒕𝒕𝒐𝒓𝒊 𝒅𝒊 𝒄𝒓𝒊𝒔𝒊 𝒆𝒎𝒆𝒓𝒔𝒊 𝒏𝒆𝒈𝒍𝒊 𝒖𝒍𝒕𝒊𝒎𝒊 𝒂𝒏𝒏𝒊.
Occorre lavorare per un cambiamento. In molti stanno ottenendo ottimi risultati riuscendo ad ottenere anche vantaggi economici grazie ad una corretta gestione del personale.
Occorre mettersi in testa che il ristorante non fa parte di una categoria aliena al mondo imprenditoriale ma è un’impresa e come tale va gestita, e il ruolo dello Chef è centrale in questo processo!
A presto!!!
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